Beba Schranz, campionessa di sci diventata giornalista

2021-12-06 22:44:10 By : Ms. wubai store

Action Magazine »Personaggi» Beba Schranz, campionessa di sci diventata giornalista

Beba Schranz era sulla rampa di lancio negli anni '70. Ma ha rinunciato allo sci dopo una grande delusione: la nazionale femminile non è stata inviata ai Giochi di Sapporo. Così è diventato giornalista con Rolly Marchi.

Non molto tempo fa, consultando il mio archivio fotografico, mi sono imbattuto in alcune immagini del 2011. Un'estate a Cortina, dove all'epoca venivano organizzati incontri di grande interesse di carattere letterario e artistico. Alla presenza di tanti nomi eccellenti si sono svolti dialoghi, dibattiti, scambi culturali. Tutto questo avvenne con l'alto patrocinio della Presidenza della Repubblica.

Ricordo che durante una di queste serate incontrai un signore molto distinto, anziano e sorridente. Indossava un grande cappello a tesa larga. Era un uomo molto alto e imponente. Mio padre appena lo vide si alzò dalla sedia e quasi con trepidazione gli si avvicinò per salutarlo. Poi mi disse che quel signore era Rolly Marchi.

Un vero mito, per tutti gli appassionati di sci, alpinismo e giornalismo sportivo. Purtroppo all'epoca mi sentivo molto giovane e inesperto, e non ebbi il coraggio di presentarmi e salutarlo. Da allora mi è rimasto il rimpianto di non averlo fatto. In ogni caso, ho cercato di rimediare di recente, andando ad intervistare la sua più preziosa collaboratrice: Maria Roberta (Beba) Schranz.

Beba, che ha fatto parte della squadra nazionale di sci a cavallo tra gli anni '60 e '70, è stata infatti non solo una preziosa collaboratrice di Rolly Marchi, ma anche una cara amica per circa quarant'anni. Il nostro incontro è iniziato ripercorrendo i suoi primi passi sulla neve, e poi le tappe che l'hanno portata a diventare un'appassionata giornalista sportiva.

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- Beba, sei nata in montagna...

“Sì Jacopo, sono nato a Macugnaga, sotto la parte piemontese del Monte Rosa. Ho iniziato a sciare dall'età di tre anni. Mio padre lavorava sugli impianti ed è così che ho iniziato con altri bambini. Una specie di sci club d'altri tempi. Giovedì era libero dalla scuola e siamo andati a sciare sull'unico impianto di risalita che c'era e che funzionava apposta per noi. Un grande gioco! Ricordo anche che andavamo nei boschi a tagliare rami di nocciolo: sarebbero stati i nostri paletti. La buccia è stata staccata e si sono dipinti di rosso e blu. A quel tempo anche giallo, a dire il vero. Gran divertimento ".

- Poi sono iniziate le vere gare...

“Sì, hanno cominciato a portarci a gareggiare in altri posti: al Mottarone, in Val Formazza… I nostri allenatori erano i maestri Alberto Corsi (fondatore della scuola sci di Macugnaga, tuttora insuperato agonista e vincitore di diverse Coppe del Mondo di categoria Master b12, ndr) ed Edoardo Morandi. Ricordo di aver gareggiato sul Tonale e anche sull'Etna. Era coordinato dal presidente dello sci club Gianni Ripamonti. Sono arrivati ​​risultati lusinghieri: ho vinto i Campionati Europei Juniores, poi ho passato due anni in la Nazionale B, e alla fine è arrivata la tanto agognata Coppa del Mondo. Il successo, per me, è stato poi rappresentato da una meravigliosa sacca portasci con sopra scritto il mio nome, e all'interno due paia di sci per specialità”.

- Com'era lo sci a quel tempo?

“Allora in slalom sciavo con un paio di sci lunghi 1,95 centimetri. Ben 30 centimetri in più della mia altezza. Gli stivali erano naturalmente di pelle: dopo un po' si arresero, e internamente fu necessario mettere dei rinforzi in Araldite (una particolare colla epossidica) per renderli più rigidi”.

- Ma come mai hai smesso presto di gareggiare?

“A un certo punto c'è stato un grande momento: il 1970, con le gare dei Mondiali di sci alpino in Val Gardena. Forza di volontà, entusiasmo, eccitazione… questo sarebbe stato il passaporto per i Giochi Olimpici del 1972 a Sapporo, in Giappone. Avevo vent'anni ed è stata una grande opportunità per me. Ma prima di partire è arrivata la comunicazione della Federazione che la squadra femminile non avrebbe partecipato ai Giochi di Sapporo. Solo il maschio partirebbe per il Giappone. Era il dicembre 1972 ed era vicino al mio compleanno. È stata una terribile delusione. Per questo ho presto smesso di sciare”.

- Ma non ti sei mai allontanato dal mondo dello sci...

“È successo che, mentre stavo organizzando un incontro con i miei compagni di squadra a Macugnaga, ho ricevuto una telefonata da Rolly Marchi. Era già un affermato giornalista sportivo, per anni aveva seguito il mondo dello sci e tutte le Olimpiadi. Abbiamo parlato per un po' e lui ha deciso di partecipare a quell'incontro. Presenti anche nomi che fanno parte della storia di questo sport: da Massimo Di Marco, da sempre mio grande tifoso, a Gildo Siorpaes, ad Alberto Senigagliesi. Fu in quella fortunata occasione che Rolly mi disse che stava cercando un collaboratore per il suo periodico La buona neve, periodico da lui fondato e poi diretto per 21 anni. Da lì è iniziata la mia nuova avventura di vita”.

- Ed è così che sei diventato giornalista!

“Un'esperienza meravigliosa. Anche perché sono diventato giornalista in un contesto particolare, e questo mi ha anche permesso di avere un rapporto continuativo di amicizia e stima con Rolly. Un uomo gentile e costruttivo, appassionato del suo lavoro e di grande disponibilità. Per me è stata un'importante esperienza umana e professionale. Una delle caratteristiche che più mi ha colpito di Rolly è stata la sua capacità di valutare immediatamente gli atleti. Gli era bastato vedere Lindsay Vonn in azione per la prima volta, e aveva dichiarato: un talento enorme. In effetti, questo è ciò che si è rivelata la ragazza".

- Com'era Rolly Marchi nella vita di tutti i giorni?

“Nella sua gentilezza, era estremamente determinato. Voleva essere sempre presente ovunque, in tutti gli eventi, partecipare sempre. Anche negli ultimi anni della sua vita, con lo sguardo che lo aveva quasi completamente abbandonato, continuò a non perdersi eventi e incontri. Un giorno gli ho detto: Rolly, dev'essere proprio dura accettare una situazione così limitante... Lui con serafica calma mi ha risposto: vedi Beba, ho avuto tanto dalla vita, e quindi accetto quello che mi succede e io non sentirti troppo condizionato”.

- Ti ha raccontato qualche aneddoto in particolare della sua vita al fianco di tanti campioni dello sci?

“Era nel '52 alle Olimpiadi di Oslo, dove Zeno Colò era uno dei più grandi favoriti. Pensò di fargli compagnia la sera prima della gara, e portò un lettino in camera sua. Non hanno dormito affatto: ha continuato ad andare alla finestra per valutare il tempo e le temperature, sempre tra una sigaretta e l'altra. Poi prendeva gli sci e iniziava a fare la sciolina. Parlarono molto quella notte, come due vecchi amici, con spirito cameratesco. Il giorno dopo, il 16 febbraio, Zeno vinse la prima medaglia d'oro olimpica per la squadra italiana”.

- Dei nostri tre campioni - Bassino, Brignone e Goggia - quale apprezzi di più per tecnica e gestione della gara?

“Credo che con uno sci flessibile, leggero e senza forzature eccessive, Marta Bassino sia la migliore. Anche per la sua gestione logica e riflessiva della gara. Per quanto riguarda i maschi, Luca De Aliprandini continuerà sicuramente a dare grandi soddisfazioni”.

Laurea in scienze politiche, master RCS in media & comunicazione e giornalismo sportivo. Arbitro FIT Pratica trekking, sci, tennis. Ma soprattutto ama appassionatamente la montagna in tutte le sue versioni.

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