Intervista alla fotoreporter Christy Bowe

2022-08-20 13:46:39 By : Mr. Martin King

In occasione della Giornata mondiale della fotografia, celebrata il 19 agosto, abbiamo intervistato la fotoreporter che da anni documenta la vita politica negli Stati Uniti. E non solo

Christy Bowe è una delle poche donne fotografe ad aver documentato cinque amministrazioni consecutive alla Casa Bianca, fotografando otto inaugurazioni presidenziali, le udienze di conferma di otto giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti e due impeachment presidenziali. Ha immortalato eroi, saggi, celebrità e reali, galà glamour e cerimonie sfarzose, i terribili fatti dell’11 settembre, il fervore delle proteste politiche e dei disordini sociali, l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 e il flusso e riflusso del potere politico. In Eyes That Speak: One Woman News Photographer’s Journey with History Makers, la fotoreporter e autrice di Washington offre ai lettori una visione intima della Casa Bianca e dei suoi protagonisti attraverso il suo obiettivo. “Mi sono innamorata della fotografia giornalistica durante le riprese di una manifestazione di protesta a Washington”, racconta Bowe. “Lì ho incontrato un fotografo dell’UPI sul camion della stampa e sono stata invitata ufficiosamente a salire a bordo per unirmi ai fotografi accreditati. A quel punto ho scoperto il fuoco nella mia pancia, la passione per essere dove c’è l’azione e registrare la storia mentre accade”.  Con il sostegno della celebre reporter della Casa Bianca Sarah McClendon, ha fondato ImageCatcher News Service. Come lei stessa ammette, Bowe è “un pesce piccolo nel grande stagno dei media”. Eppure, grazie al suo talento, alla sua grinta e al suo duro lavoro, è al fianco di alcuni dei fotografi più rispettati al mondo. Ne abbiamo parlato con lei

Che cosa l’ha spinta a scrivere il suo ultimo libro? È nato dalla volontà di far sapere al pubblico com’è essere una fotografa di news e come le cose siano cambiate nel corso del tempo nel nostro lavoro. Volevo anche che la gente capisse quanto sforzo serva per avere lo scatto giusto. Capita a volte di riuscire a trovare lo scatto perfetto, ma in realtà molto spesso si tratta più di una questione di essere veloci, saper aspettare il momento giusto e seguire il protocollo quando si fotografano i leader mondiali.

Crede che il ruolo del fotogiornalismo sia cambiato negli anni? Sì. Con l’avvento delle news in tempo reale e la rivoluzione delle fotocamere digitali è cambiato tutto. Quello che ai tempi del cinema ci metteva un’ora ad arrivare in redazione, ora è immediato. Adesso, quando il Presidente Biden sta parlando, tutti gli scatti e le immagini sono trasmessi contemporaneamente in tutto il mondo. Le fotocamere dei cellulari oggi sono spettacolari, praticamente chiunque sia interessato alla fotografia oggi è un fotogiornalista. E questo può essere un’arma a doppio taglio.

Da quando lavora alla Casa Bianca ci sono stati molti cambiamenti. Come li ha vissuti a livello personale e professionale? Sì, ce ne sono stati molti. I cambiamenti tecnologici di cui ho appena parlato sono stati positivi, ma l’accesso alle conferenze è diminuito negli ultimi anni. Per esempio, negli ultimi vent’anni, ai tempi di Clinton, Bush (George W) e Obama si tenevano regolarmente conferenze presidenziali. Normalmente ci sarebbero state delle domande e noi fotografi avremmo avuto l’opportunità di avere degli ottimi scatti per un’ora o più ogni sei settimane circa. Il presidente Trump ha decido di cambiare questa routine non tenendo più le tradizionali conferenze stampa ‒ cosa che all’inizio è stata frustrante ‒, ma poi ha iniziato a rispondere alle domande di tutti i media al suo arrivo o alla sua partenza dal South Lawn della Casa Bianca, mentre si dirigeva verso l’elicottero presidenziale Marine One. In questo modo ha potuto controllare per quanto tempo avrebbe risposto alle domande e scegliere a quali rispondere. Alla fine, così facendo, l’accesso è stato migliore che mai per noi fotografi. In seguito, abbiamo avuto a che fare con gli effetti delle restrizioni a causa del Covid e con un accesso alle conferenze più limitato. Sarà interessante vedere quale sarà la nuova normalità.

Come mai ha scelto di diventare una fotogiornalista? Ho sempre avuto l’istinto di andare dove c’era l’azione e ho sempre avuto un sano senso di curiosità, quindi era un’ottima scelta per me. Il potere della macchina fotografica può trasportarci nella vita di molte persone e aiutarci a capire meglio alcuni incarichi.

Da fotografa, ha sempre saputo che si sarebbe dedicata ai ritratti? In realtà non mi sono dedicata ai ritratti. Cerco di tirare fuori sempre il meglio da una data situazione. Un esempio potrebbe essere una mia foto che Fox News ha usato durante un suo servizio pochi giorni fa: stavo fotografando il Presidente Obama alla consegna della Medaglia Presidenziale alla Libertà alla leggenda del basket Bill Russell. Obama è alto più di 180 centimetri e stava cercando di mettere la medaglia a Russell che era alto due metri e dieci. È stato un momento molto bello. Quando Russell è morto, Fox News ha realizzato un servizio sulla sua vita e carriera, ero felice che avessero usato la mia foto. 

Ci sono stati momenti in cui ha sentito che questo lavoro non faceva più per lei? No.

Come ci si sente a registrare la storia? È molto bello. Soprattutto se mi guardo indietro, quando ho messo insieme il mio libro Eyes That Speak e ho raccontato il dietro le quinte delle immagini.

Ritiene che gli scatti “staged” del presidente ucraino Zelensky e di sua moglie per Vogue America siano appropriati alla luce della situazione ucraina? Gli Zelensky erano disposti a farlo ed è stata una prospettiva diversa rispetto alla copertura mediatica che hanno ricevuto.

Ha degli scatti preferiti? Sì, alcuni: il presidente Bush (George W) con il suo cappello da cowboy all’alba sul prato della Casa Bianca, il presidente Obama che dà il cinque a un gruppo di bambini durante l’Easter Egg Roll alla Casa Bianca e la foto della Harley Davidson all’inaugurazione presidenziale nel capitolo 9 del mio libro.

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