IL CICLISMO DÀ, MA NON PRENDE

2021-12-06 23:23:03 By : Mr. Yanfeng Zhuo

TUTTOBICI | 28/11/2021 | 08:15 di Gian Paolo Ormezzano Il vecchio giornalista delle due ruote senza motore (e senza pedalata assistita elettricamente) mi viene in mente una sorta di paradosso che non è paradossale, come accade sempre o quasi sempre, nella piccola e grande storia dell'umanità , dove il massimo del bizzarro prima o poi diventa la regola, la normalità: il ciclismo è l'unico dei grandi sport popolari a dare sempre qualcosa e spesso molto alla televisione, mentre in generale la televisione dà qualcosa o molto ad altri sport, sul tutta visibilità che è anche pubblicità. Un esempio, forse il più semplice e intenso: nel calcio non c'è dubbio che la televisione dia molto a questo sport, anzi a questo gioco, con inquadrature sempre più ricche e intriganti, giochi di andirivieni sullo schermo tra tutta la scenografia e il dettaglio intimistico. , primi piani in linea di massima efficaci e rivelatori e forse anche spettacolari, e ultimamente anche il passaggio (che sembra una passeggiata, una carezza elettronica) delle telecamere sulla folla dello stadio, per scoprire situazioni e atteggiamenti particolari. La televisione dà ogni giorno di più al calcio, con l'avanzare della tecnologia e quindi della forza e della chiarezza e del "prendere" delle immagini (a volte succede anche con il criticatissimo Dazn, che qui toglie ma là inventa). Basta guardare, per un confronto, alle squallide, povere ritrasmissioni di partite antiche - soprattutto su Rai Sport ora purtroppo "minate" dalle notizie che mettono fuori uso apparecchi e decoder - con immagini che nel mondo del cinema si dice siano film di la serie "piovosa", Con schermi a strisce, prevalente poco dopo la scoperta dei fratelli Lumière. E si pensi anche alle folle di allora che filmavano sugli spalti: pochissime donne, spesso nessuna, uomini in giacca e/o cappotti, tutti con cappelli a tesa o basco che evidentemente "facevano sport", sguardi puntati sul campo da gioco mentre ora la gente degli stadi si è abituata a guardare anche i grandi cartelloni televisivi, con le immagini del campo ma anche degli spalti: e così spesso ci si ritrova a essere ripresi e "proposti" al grande pubblico, lì allo stadio come nelle case, e il suo viso insieme stupito e felice e pazienza anche se ottuso, quando non trova nemmeno il tempo di salutare con la mano. Persone che vengono fucilate, che sostanzialmente significa prese due volte, cioè attratte se non imprigionate nello stadio e quindi abituate a fare un minimo di scenografia umana che non sia solo di tipo atletico (a questo servono anche i nevrastenici delle panchine , sempre più rinvenuti ergo utilizzati dalle macchine fotografiche). Una competizione ciclistica, non rinchiusa, compressa in immagini e sequenze su una pista dove tutti i concorrenti sembrano fare la stessa identica cosa, cioè pedalare uniformemente, "dà" invece, "dà" ecco, a la televisione e di conseguenza ai telespettatori ovunque si trovino. Sullo schermo città affollate e deserti molto vuoti, grattacieli e palme da dattero, asfalto o sabbia e ruscelli, pianure e montagne, erba verde giallo grano nero lava blu mare fiori rossi, piccoli bacini d'acqua, laghi o immensi oceani. Insomma il paesaggio, cioè il mondo, naturale e artificiale. Sulla strada e ai suoi lati non solo biciclette ma auto, moto, carri, veicoli... E poi anche uomini nel senso di donne e bambini, un immenso diorama umano, allegro, ansioso, gioioso, arrabbiato, simpatico, snobbando facce... Un po' o anche molto di questo è offerto anche da altri sport, chi lo nega?, ma in genere questi stessi sport ricevono e distribuiscono ciò che la televisione dà loro, mentre il ciclismo offre alla stessa televisione un materiale composito che è rinnovandosi sempre, chilometro dopo chilometro anzi metro dopo metro di strada. Con creazioni speciali, inaspettate soprattutto per gli inesperti: pensate alla "scoperta" delle cose (volti, corpi, fachirismi, acrobazie, trucco con il fango) offerta dall'ultima clamorosa Parigi-Roubaix, con la novità della data autunnale e quindi di un tempo spettacolare, e per noi italiani poi con l'epifania di un certo Sonny Colbrelli. C'è una morale, nel senso non a tutti i costi etici di conclusione, di questo nostro enigma amoroso? Purtroppo sì - temiamo, o meglio temo - ed è che il ciclismo continua a non sapere quanto, quanto vale in molti sensi, e a dare tutto se stesso a una sorta di vampirizzazione compiuta da molti, per offrire ingredienti per ogni tipo anche sulla loro pelle. di spettacolo, dall'estrema sofferenza umana alla dolcezza quasi arcadica. E intanto continua a soffrire nei media, dalla televisione in su o in giù, la sottomissione in termini di spazio e tempo a sport che prendono di più e danno di meno (per non dire sempre il calcio, pensate al venerato tennis, un balletto con cast umano molto piccolo e in posti uguali tra loro, lo stesso scenario naturale artificiale giorno dopo giorno). Vecchia storia, ma ripeterla dentro, rinnovarla fa sempre male di nuovo. Copyright © TBW

Al vecchio giornalista delle due ruote senza motore (e senza pedalata assistita elettricamente) viene in mente una sorta di paradosso che non c'è, come sempre o quasi sempre accade, nella piccola e grande storia dell'umanità, dove il massimo del bizzarro prima o poi diventa la regola, la normalità: il ciclismo è l'unico dei grandi sport popolari a dare sempre qualcosa e spesso molto alla televisione, mentre in senso lato la televisione dà qualcosa o molto ad altri sport, soprattutto visibilità che è anche pubblicità.

Un esempio, forse il più semplice e intenso: nel calcio non c'è dubbio che la televisione dia molto a questo sport, anzi a questo gioco, con inquadrature sempre più ricche e intriganti, giochi di andirivieni sullo schermo tra tutta la scenografia e il dettaglio intimistico. , primi piani in linea di massima efficaci e rivelatori e forse anche spettacolari, e ultimamente anche il passaggio (che sembra una passeggiata, una carezza elettronica) delle telecamere sulla folla dello stadio, per scoprire situazioni e atteggiamenti particolari. La televisione dà ogni giorno di più al calcio, con l'avanzare della tecnologia e quindi della forza e della chiarezza e del "prendere" delle immagini (a volte succede anche con il criticatissimo Dazn, che qui toglie ma là inventa). Basta guardare, per un confronto, alle squallide, povere ritrasmissioni di partite antiche - soprattutto su Rai Sport ora purtroppo "minate" dalle notizie che mettono fuori uso apparecchi e decoder - con immagini che nel mondo del cinema si dice siano film di la serie "piovosa", Con schermi a strisce, prevalente poco dopo la scoperta dei fratelli Lumière.

E si pensi anche alle folle di allora che filmavano sugli spalti: pochissime donne, spesso nessuna, uomini in giacca e/o cappotti, tutti con cappelli a tesa o basco che evidentemente "facevano sport", sguardi puntati sul campo da gioco mentre ora la gente degli stadi si è abituata a guardare anche i grandi cartelloni televisivi, con le immagini del campo ma anche degli spalti: e così spesso ci si ritrova a essere ripresi e "proposti" al grande pubblico, lì allo stadio come nelle case, e il suo viso insieme stupito e felice e pazienza anche se ottuso, quando non trova nemmeno il tempo di salutare con la mano. Persone che vengono fucilate, che sostanzialmente significa prese due volte, cioè attratte se non imprigionate nello stadio e quindi abituate a fare un minimo di scenografia umana che non sia solo di tipo atletico (a questo servono anche i nevrastenici delle panchine , sempre più rinvenuti ergo utilizzati dalle macchine fotografiche).

Una competizione ciclistica, non rinchiusa, compressa in immagini e sequenze su una pista dove tutti i concorrenti sembrano fare la stessa identica cosa, cioè pedalare uniformemente, "dà" invece, "dà" ecco, a la televisione e di conseguenza ai telespettatori ovunque si trovino. Sullo schermo città affollate e deserti molto vuoti, grattacieli e palme da dattero, asfalto o sabbia e ruscelli, pianure e montagne, erba verde giallo grano nero lava blu mare fiori rossi, piccoli bacini d'acqua, laghi o immensi oceani. Insomma il paesaggio, cioè il mondo, naturale e artificiale. Sulla strada e ai suoi lati non solo biciclette ma auto, moto, carri, veicoli... E poi anche uomini nel senso di donne e bambini, un immenso diorama umano, allegro, ansioso, gioioso, arrabbiato, simpatico, facce snobbate...

Un po' o anche molto di questo è offerto anche da altri sport, chi lo nega?, ma in genere questi stessi sport ricevono e distribuiscono ciò che la televisione dà loro, mentre il ciclismo offre alla stessa televisione un materiale composito che si rinnova sempre, chilometro dopo chilometro in effetti metro dopo metro di strada. Con creazioni speciali, inaspettate soprattutto per gli inesperti: pensate alla "scoperta" delle cose (volti, corpi, fachirismi, acrobazie, trucco con il fango) offerta dall'ultima clamorosa Parigi-Roubaix, con la novità della data autunnale e quindi di un tempo spettacolare, e per noi italiani poi con l'epifania di un certo Sonny Colbrelli.

C'è una morale, nel senso non a tutti i costi etici di conclusione, di questo nostro enigma amoroso? Purtroppo sì - temiamo, o meglio temo - ed è che il ciclismo continua a non sapere quanto, quanto vale in molti sensi, e a dare tutto se stesso a una sorta di vampirizzazione compiuta da molti, per offrire ingredienti per ogni tipo anche sulla loro pelle. di spettacolo, dall'estrema sofferenza umana alla dolcezza quasi arcadica. E intanto continua a soffrire nei media, dalla televisione in su o in giù, la sottomissione in termini di spazio e tempo a sport che prendono di più e danno di meno (per non dire sempre il calcio, pensate al venerato tennis, un balletto con cast umano molto piccolo e in posti uguali tra loro, lo stesso scenario naturale artificiale giorno dopo giorno). Vecchia storia, ma ripeterla dentro, rinnovarla fa sempre male di nuovo.