Europa League e Conference League, tutto il meglio | L'Ultimo Uomo

2022-04-21 06:38:18 By : Ms. Ruby Lim

I momenti più cristologici della serata più edonista della settimana.

Conosci la tua squadra di Europa League: PSV Eindovhen

La Phillips non è il semplice sponsor del PSV, ma è la sua ragione d’essere. Nel 1912, nella ricorrenza del centenario dell’indipendenza dei Paesi Bassi dalla Francia, il PSV è stato fondato come squadra degli operai della fabbrica. La Phillips in quei giorni ha organizzato un torneo per celebrare la ricorrenza, e dunque ha creato la squadra. I tifosi del PSV però mischiano le classi sociali e amano definirsi “contadini” per via della presunta fama provinciale di Eindhoven, che è nella regione del Brabante. L’etimologia del suo nome è più contadina che non si può: gli ultimi zoccoli della terra di Woensel, il paese agricolo nei dintorni di Eindhoven.

I primi anni di vera gloria del PSV sono i ‘70: è in quell’epoca che riescono a vincere quattro campionati consecutivi. A dominare la scena Willy van der Kujlen: soprannominato “Tira, Willy”, perché segnava da tutte le posizionimiglior marcatore della storia della Eredivisie (311), tre volte vincitore del titolo di capocannoniere. La storia di van der Kujlen è anche quella del PSV, perché nei mondiali del 1974 – quelli dell’arancia meccanica – non viene convocato. La Nazionale olandese più famosa della storia ha preso quindi le sembianze dell’Ajax, mentre il miglior giocatore del PSV è rimasto a casa. Allo stesso modo il PSV rimane un po’ la seconda squadra d’Olanda, per titoli, prestigio e carico simbolico.

Molte esultanze con saltelli e braccia spalancate.

Dal 2016 la Phillips non è più lo sponsor del PSV, che ha diminuito la propria influenza sul club. Prima è arrivata Energie Direct, e oggi vediamo la scritta dell’aeroporto di Eindhoven. Le quote dell’azienda di elettronica sono diminuite. Dopo van der Kujlen il PSV ha mantenuto una certa tradizione di centravanti di alto livello. Nel giro di pochi anni è riuscito a schierare come punta prima Romario e poi Ronaldo, cioè i due migliori numeri 9 della storia del calcio brasiliano. Pochi anno dopo è arrivato Ruud van Nistelrooy, la cui cessione rimane la più redditizia della storia del club. La tifoseria del PSV negli ultimi anni ha raggiunto la notorietà per fatti negativi – come quando hanno deriso dei senzatetto – o positivi. Qualche anno fa è circolato il video di un mini-ultras perfettamente abbigliato con cappello Stone Island, che dirigeva i cori nella curva.

Da due stagioni il PSV è allenato da Roger Schmidt, un tempo uno dei teorici più radicali e incendiari del gegenpressing, oggi molto normalizzato nella sua proposta di gioco. Non per questo la squadra ha rinunciato a risultati pazzi e spettacolari, come il 4-4 contro il Copenaghen di questa edizione della Conference League. La società ha già annunciato che il suo posto nella prossima stagione verrà ricoperto dalla leggenda del club Ruud van Nistelrooy – mentre per Schmidt si parla di un possibile arrivo al Benfica. Quest’anno il PSV è arrivato terzo ai gironi di Europa League, venendo retrocesso in Conference. Né la Real Sociedad né Monaco, arrivate davanti in classifica, sono riuscite ad arrivare avanti quanto il PSV, infine ieri eliminato dal Leicester vendendo carissima la pelle.

Uno dei commenti più usati a fine serata è stato che le semifinali di Conference League sembrano più Europa League di quelle di Europa League, che invece per qualcuno sembrano semifinali di Conference League. È il premio per questa rubrica, che da settembre tratta tutto come se fosse lo stesso grande calderone. Ma, al di là di quello che sembrano, come andranno queste semifinali? Ve lo diciamo noi, ovvio. 

L’Eintracht Francoforte inglese contro l’Eintracht Francoforte tedesco, una sfida che incendia l’Europa League, che dimostrerà in maniera inequivocabile la superiorità del giovedì sul mercoledì: più I’m forever blowing bubbles meno You’ll never walk alone (scherzo). Il portafoglio dice West Ham, il cuore Eintracht Francoforte, voi a chi credete? 

Il bello di questa competizione è nella sua varietà: in questa semifinale si affrontano una squadra che fino a qualche anno fa non esisteva nella sua forma attuale, che esiste per gli investimenti scientifici di un’industria che produce una bevanda energetica, contro una squadra che esiste dal 1872, che ha un valore prima politico e religioso e poi sportivo. Insomma una sfida tra le due spinte del calcio di oggi: il potere storico polveroso delle società vecchio stampo contro quello algoritmico e cangiante delle nuove pretendenti al titolo. Chi vincerà? Il Lipsia perché mancherà Morelos, ma ci sarà da divertirsi (i Rangers di Van Bronckhorst sono una bella squadra).  

Detto anche il derby di Claudio Ranieri, è effettivamente una sfida poco Conference League, se questo termine significasse qualcosa. Al momento una è nona nel campionato inglese, l’altra è quinta in quello italiano: il nostro calcio riuscirà a difendere un vantaggio di quattro posizioni o dovremo tornare a parlare della superiorità della media borghesia inglese sulle nostre migliori squadre? Alcune cose da sapere: Jeremy Vardy ha un problema al ginocchio e non si sa quando tornerà a disposizione, Ngolo Kanté è stato venduto al Chelsea, Mahrez al City, Schmeichel c’è ancora (autore di un paio di grandi parate contro il PSV), Okazaki gioca nella seconda divisione spagnola, al Cartagena FC. 

Magari non saranno nel loro momento storico migliore, ma stiamo parlando di due club che, insieme, possono vantare una bacheca con due coppe uefa e due coppe dei campioni. La contrapposizione è ideologica prima che calcistica, visto che stiamo parlando di una delle curve politicamente più schierate a destra (Feyenoord) e una di quelle politicamente più schierate a sinistra (OM). Eccovi un precedente d’epoca, con un Feyenoord che in attacco schiera Julio “El jardinero” Cruz.

La più grande tifoseria della storia dell’Europa League

Sempre loro, i tifosi dell’Eintracht Francoforte, che ieri sono scesi in 30mila verso Barcellona. L’atmosfera al Camp Nou era bellissima ma vagamente surreale, con uno stadio quasi equidiviso tra tifosi del Barcellona e quelli ospiti, che hanno cominciato a fischiare. Xavi a fine partita si è lamentato, ha detto che l’atmosfera non li ha aiutati, e ha richiesto una spiegazione ufficiale, com’è stato possibile far entrare tutti quei tifosi tedeschi? «Sembrava una finale, con lo stadio diviso a metà» ha detto Xavi. Gli ha fatto eco Joan Laporta: «Francamente quello che è successo mi fa vergognare. C’erano tanti tifosi della squadra avversaria e non tanti tifosi del Barcellona. Chiedo scusa per quello che è successo». A quanto pare c’è stato un errore della biglietteria del club, che ha venduto troppi tagliandi ai tifosi dell’Eintracht. Anche se altre fonti dicono che i tifosi messi a disposizione dalla biglietteria erano solo 5000, e allora sono stati i soci del club a rivendere i propri tagliandi (illegalmente). È ironico che prima della partita Xavi aveva fatto esplicito appello al pubblico del Barcellona per creare un clima ostile ai tedeschi.

Sulla pagina Wikipedia del Barcellona la descrizione è stata editata così: «Lo stadio dell’Eintracht Francoforte a Barcellona». Le immagini che riguardano i tifosi dell’Eintracht sono più o meno tutte incredibili.  Qui per esempio scendono per le strade incolonnati come un esercito di lanzichenecchi.

30,000 Eintracht Frankfurt fans marching through Barcelona on their way to the Camp Nou. All in white.

What a sight. #SGE #FCBSGE pic.twitter.com/OXw6Vunm75

Non è la prima volta che i tifosi dell’Eintracht si segnalano come la più pazza tifoseria dell’Europa League. A San Siro erano scesi in quindicimila . Se volete sapere qualcosa in più sulla tifoseria dell’Eintracht c’è questo bellissimo thread che parla dei drughi, un gruppo organizzato fondato nel 1999 e associato politicamente alla sinistra. Nei drughi sono vietati cori razzisti e discriminatori. Il loro nome, come avrete capito, è una citazione di arancia meccanica e il loro motto è “Orange chaos international”. Il club in generale ha preso diverse posizioni negli ultimi anni contro qualsiasi manifestazione di estrema destra, nella città di Francoforte e in Germania in generale. Se stavate cercando una squadra ancora in corsa da tifare in Europa League.

L’odio tra squadre e tifoserie nel calcio nasce spesso per motivi futili. Un giocatore che passa da una squadra all’altra, l’amicizia con una tifoseria avversa, scontri fuori dal campo. Semplice campanilismo medievale. L’odio tra Roma e Bodo/Glimt invece non ha motivi apparenti. Come sono arrivate a odiarsi, due squadre così diverse? Una grande città da 3 milioni di abitanti, una capitale del sud del mediterraneo, e una piccola cittadina di pescatori sopra al circolo polare artico. Una squadra con una non clamorosa ma comunque significativa storia europea, e l’altra che non possiede tradizione nemmeno in Norvegia. Una tifoseria nota per il proprio stile passionale e quasi sudamericano, con la sua retorica sulla grandezza dell’antica Roma e sui propri capitani, e l’altra, beh, che tifa con degli spazzolini giganti in mano.

Fatto sta che Roma e Bodo si odiano. 

Forse tutto è nato dal 6-1 che il Bodo ha inflitto alla Roma nella gara d’andata nel girone. Una sconfitta che ha aggiunto un inedito livello di surrealismo alla nefasta storia europea della Roma. La maledizione è iniziata col 7-1 contro il Manchester United, e col tempo il valore degli avversari contro cui la Roma veniva umiliata diminuiva (Bayern Monaco, Barcellona, poi Fiorentina, infine Bodo/Glimt), come uno specchio distorto della propria decadenza. Ogni umiliazione una tacca segnata più in basso. Il modo in cui la Roma ha reagito alla sconfitta in Norvegia è stato nuovo, però. Mourinho ha usato toni durissimi; ha parlato di umiliazione storica, ha parlato come se fosse al di sopra del club. La maggior parte dei giocatori che sono scesi in campo in quel match sono stati venduti o messi fuori squadra – alcuni tornati ad avere un ruolo dopo indicibili fatiche. Degli undici titolari di quella trasferta, ieri solo Rui Patricio e Ibanez sono tornati in campo. Invece che piangersi addosso o fare auto-ironia la Roma è sembrata rifiutare quella sconfitta e quando nel sorteggio ha pescato il Bodo/Glimt i suoi tifosi hanno cercato di scacciare i fantasmi affrontando il doppio confronto come una questione di vita e di morte. Come ha scritto Dario Saltari, creando una rivalità epica dal nulla. Una dimensione per qualche ragione accettata e rilanciata anche dal Bodo, che ha fatto di tutto per fomentare l’odio e il conflitto.

La partita d’andata è stato il primo atto del dramma. I tifosi del Bodo hanno accolto la Roma con cartelli con su scritto 6-1, striscioni che deridevano l’impero romano e con palle di neve lanciate addosso a Mourinho. Il Bodo, soprattutto, ha accolto la Roma col suo impianto di gioco sofisticato e una sfrontatezza tecnica e tattica che ha sorpreso, una volta di più, la Roma. «È un mistero ma anche una maledizione per Mourinho: questa squadra di giocatori senza volto, di cui non sappiamo nulla, nata in un posto in cui sembra impossibile persino la vita, che pure gioca un gioco di posizione complesso degno del miglior Barcellona di Guardiola» ha scritto sempre Saltari. Durante la partita i tifosi del Bodo lanciavano palle di neve ai giocatori della Roma a bordo campo, con uno spirito un po’ naif, contro una delle tifoserie che tende a prendere più seriamente una partita di calcio.

Al termine della vittoria per 2-1 dei norvegesi è scoppiato il caos. L’allenatore del Bodo Kjetil Knutsen è venuto alle mani col preparatore dei portieri della Roma, Nuno Santos. Dal video delle telecamere interne dello stadio non si capisce nulla, a essere sinceri. Secondo i norvegesi Santos ha prova a strangolare alle spalle Knutsen. Davanti ai microfoni il capitano della Roma Lorenzo Pellegrini ha iniziato a creare un tono da guerra santa: «Noi siamo arrivati qui con il massimo del rispetto, nel migliore dei modi e loro si sono comportati veramente male con noi. Addirittura il loro allenatore ha aggredito il nostro preparatore dei portieri Nuno. Penso che questo sia un grande insulto alla competizione Europea, vista in tutto il mondo e questa è veramente una cosa spiacevole». Dopodiché ha definito l’atteggiamento del Bodo un insulto alla città di Roma: «Soprattutto è un grande insulto alla Roma e ai romani, quindi credo che giovedì prossimo oltre ad essere una partita che ci può far andare in semifinale penso che questa partita non la giocheremo in 11 ma veramente in tanti».

Mentre Mourinho andava ai microfoni dicendosi sicuro di vincere la gara di ritorno, Knutsen in conferenza ha parlato con toni depressi e strani per una partita di calcio: «Avvenimenti del genere mi farebbero venir voglia di mettermi a fare altro. Ho addirittura considerato se non fosse il caso di andare avanti nel mondo del calcio. I suoi valori e il suo modo di allenare sono così lontani da ciò che rappresento. È un’incredibile delusione vedere certi comportamenti da un allenatore così titolato». Come se l’aver visto Mourinho abbiamo fatto scoprire a Knutsen l’esistenza del male ontologico nel mondo.

Nella settimana precedente alla partita è successo di tutto. Sui social i tifosi della Roma hanno giocato in modo ironico con questo odio ready-made per il Bodo/Glimt. In un meme Lorenzo Pellegrini sgasa con la macchina in mezzo a una nuvola di inquinamento e la caption: «Accelerando il riscaldamento globale per vedere Bodo sott’acqua». Sui social la scritta “Odio Bodo” spuntava ovunque, mentre una sciarpa del Bodo/Glimt è comparsa persino in Curva Nord nell’ultima partita della Lazio. Il direttore della testata Roma Giallorossa Marco Violi ha pubblicato una canzone parodica contro la squadra e l’allenatore Knutsen. Il canale norvegese TV2 ha intercettato il video e ha accusato Violi di fomentare odio e violenza; Violi ha risposto denunciando TV2 per diffamazione e chiedendo un risarcimento di 500 milioni di euro. La polizia norvegese ha interrogato Knutsen, Nuno Santos – e tutti i presenti – riguardo alla loro rissa, e la UEFA ha infine squalificato i due per la gara di ritorno. Nella conferenza pre-partita il capitano Saltnes non ha fatto niente per abbassare i toni, definendo la squadra “felice” per aver pescato la Roma nel sorteggio.

I tifosi del Bodo sono arrivati a Roma indossando la maschera di Knutsen, come forma di protesta per la sua squalifica. Il ricavato delle vendite delle duemila maschere è andato in beneficienza per la causa ucraina. Nelle foto è comparso anche un tifoso con la maglia numero 61 e la scritta Mourinho. I tifosi della Roma sono storicamente celebri per le cosiddette “puncicate”, cioè lievi accoltellamenti alle gambe durante gli scontri fuori dallo stadio, e i tifosi del Bodo, annusato il clima, hanno scritto una lettera per stemperare il clima: 

«Cari tifosi della Roma, giovedì sera ci sfideremo in una partita di calcio. Molti dei nostri sostenitori sono preoccupati che potrebbero esserci risse e accoltellamenti, quindi ascoltate la nostra supplica. In tanti anni abbiamo condiviso così tanto. L’Italia ci ha dato ottimi ristoranti come l’Orion e il Fellini. Ci avete regalato Chianti e Spaghetti alla Capri. Noi vi abbiamo dato grappa e baccalà. La nostra amicizia risale al re Sverre. Quindi combattiamo in campo, e fuori dagli spogliatoi se necessario, e siamo amici prima e dopo la partita. Grazie, Glimt i Steigen».

Questo clima di tensione pazza, infine, non ha prodotto alcun episodio spiacevole, ma ha contribuito a creare un clima irripetibile all’Olimpico. Stadio tutto esaurito, coreografia in Curva Sud, bandiere, canti e cori dal minuto zero. Un “Roma, Roma, Roma” da brividi delle grandi occasioni. È sembrato tutto esagerato per una partita simile, ma al contempo sublime e bellissimo. Prima della partita il pullman della squadra si è fermato in mezzo a una folla di tifosi festanti per caricarsi. È forse il più grande merito di Mourinho, quello di aver creato un clima per una volta unito e luminoso intorno alla squadra. Aver cementato un ambiente che storicamente è una polveriera, un territorio parcellizzato di retoriche e interessi personali. Questo nonostante la squadra stia giocando una stagione buona ma di certo non eccezionale. Prima della partita di ieri, in casa contro la Salernitana, i tifosi avevano ancora fatto il tutto esaurito allo stadio. Contro l’ultima in classifica per distacco, la Roma ha faticato, rimontando lo svantaggio in modo disperato solo negli ultimi dieci minuti. Tuttavia i tifosi hanno salutato la rimonta come un’impresa memorabile. L’entusiasmo che Mourinho ha portato in città in estate, durante il suo trasferimento, non è diminuito di una virgola.

Come avrebbe reagito, però, sul campo la squadra? Per i più pessimisti quell’entusiasmo era una brutta notizia. I fantasmi di Roma-Slavia Praga: un quarto di finale europeo contro una squadra modesta, accolta in una bolgia infernale. Una grande festa, con gol romantico del Principe Giannini, trasformata in un funerale dal beffardo (“assassino” lo ha definito Cerqueti in telecronaca) gol di Vavra . Stavolta la Roma, però, non ha ceduto allo psicodramma, e ha trasformato tutta quella carica retorica in energia agonistica. È scesa in campo determinata e iper-aggressiva, ha pressato la costruzione bassa del Bodo/Glimt con un coraggio e un’ambizione raramente viste in stagione. Zaniolo e Abraham stavano sui due centrali di difesa, Pellegrini sul regista Hagen, Cristante e Mkhitaryan sulle due mezzali, mentre i tre difensori accettavano la parità numerica con le tre punte del Bodo/Glimt, che rimaneva con i terzini spesso liberi di far risalire il pallone, ma senza la necessaria qualità per farlo. In più la Roma riusciva comunque a coprire bene le linee di passaggio e a vincere i duelli individuali.

Col pallone la squadra è stata rapida, verticale ma straordinariamente precisa. Il Bodo/Glimt ha provato a non abbassarsi troppo ma le verticalizzazioni improvvise della Roma ne hanno costantemente rotto l’equilibrio. Uno degli assi che ha funzionato meglio è stato quello tra Cristante e Zaniolo; il primo ormai uno specialista dei lanci di prima dietro la difesa avversaria (e ieri devastante anche nei cambi di gioco diagonali verso Zalewski), il secondo difficile da contenere negli strappi in profondità. Mourinho è infatti tornato sull’utilizzo di Zaniolo dopo la partita, raccontando di aver nascosto fino all’ultimo la sua titolarità, sicuro però che avrebbe giocato, sicuro della sua importanza nell’offrire profondità alla squadra. Tutto il piano tattico è stato ovviamente favorito dal precoce gol di Abraham sugli sviluppi di un calcio d’angolo. Una rete che ha messo la partita su un piano emotivo inclinato in cui i giocatori del Bodo sono rimasti ghiacciati di paura. Una squadra di giocatori anonimi parsi eccezionali nelle tre partite precedenti si è scoperta fragile e mediocre. Come se il coraggio della Roma avesse finalmente scoperto il suo bluff, come un bambino che accende la luce e scopre che quello sulla parete non è un mostro ma una macchia.

Il secondo gol è il più bello della partita. Pellegrini, Abraham e Zaniolo si ritrovano ad altezze diverse sul corridoio centrale e, ricevuto il pallone in verticale da Mkhitaryan, si scambiano la palla avanti e indietro, manipolando la linea del Bodo. Pellegrini rifinisce di prima, di sinistro, per Zaniolo, scattato in anticipo dietro al terzino avversario, e che conclude con un tocco furbo a lato del portiere in ginocchio. Il gol, soprattutto, ha l’effetto di togliere un po’ di ruggine dalle gambe di Zaniolo, autore di una stagione generosa ma estremamente imprecisa negli ultimi metri di campo. Nella mezz’ora successiva al primo gol è devastante. Va vicino a un altro gol dopo un’azione solitaria, segna il secondo con un dolce scavetto su assist di Zalewski e segna il terzo a inizio secondo tempo, con un’azione manifesto del suo talento fisico e tecnico, una progressione conclusa con un tiro violentissimo di controbatto sotto l’incrocio dei pali. In curva compare il disegno di un salmone norvegese pescato all’amo e sul 4-0 in molti vorrebbero più gol, ma la Roma si limita a controllare la gara.

Non mi sento tanto bene @magnumpio @violismo pic.twitter.com/kaHuZdXT3P

Marco Violi a fine partita pubblica un’altra canzone contro il Bodo/Glimt, qui adattata in un meme.

È stata una delle migliori versioni della Roma in questa stagione, insieme a quelle vista contro l’Atalanta o contro la Lazio. Non è un caso, però, che la Roma abbia sfoderato le proprie migliori prestazioni in partite decisive e negli scontri diretti. Un aspetto particolarmente critico della gestione Fonseca. C’è un discorso tattico, certamente, perché la Roma si trova più a proprio agio contro squadre che le concedono lo spazio in profondità e non la costringono ad attacchi posizionali complessi contro difese schierate. È in profondità che meglio si esprime il talento verticale di giocatori come Pellegrini, Mkhitaryan o Zaniolo, ed è in profondità che la squadra può giocare in modo più diretto e semplificato. Ieri, contro il Bodo, si è visto anche un livello d’intensità del pressing, inedito, e forse collegato alla dimensione più importante per la Roma, ovvero quella mentale. Mourinho dopo la partita ha rivendicato la qualità di gioco della sua squadra, a suo parere sottovalutata. Ha detto anche di aver rivisto a freddo la partita con la Salernitana, e che la Roma ha giocato bene. Ma a parte qualche momento in cui i suoi talenti migliori si associano in modo brillante, la Roma non sarà mai una squadra spettacolare, ieri però ha dimostrato che può essere una squadra fisica e intensa, e che – come ha detto il capitano Pellegrini – non si tira indietro nelle occasioni importanti.

L’Eintracht Francoforte è nono in Bundesliga ma ieri ha eliminato il Barcellona dall’Europa League. Il Barcellona di Xavi, la squadra tatticamente più glamour e interessante del 2022. Lo ha fatto vincendo per 3-0 una partita di feroci transizioni offensive a cui il Barcellona non ha saputo trovare risposta.

L’allenatore Glasner schiera l’Eintracht con un 3-4-2-1 che ricorda i vecchi fasti d’Europa League di Adi Hutter. Se Hutter però puntava molto sulle combinazioni offensive delle due punte, Jovic e Haller, Glasner ha un gioco più diretto che passa per le catene laterali. L’unico sopravvissuto tra i giocatori offensivi di quella squadra, Filip Kostic, ha un’influenza ancora maggiore. Ecco un’occasione in cui l’Eintracht riconquista palla e buca il Barcellona con una transizione in diagonale verso il lato debole. Kamada, che serve Kostic, parte nominalmente esterno sinistro, ma poi si accentra molto.

La partita si è incastrata subito molto bene per l’Eintracht Francoforte, passato in vantaggio su rigore dopo cinque minuti e che poi raddoppia con Santos Borrè (doppietta), dopo poco più di mezz’ora. Un gol oggettivamente incredibile che sarebbe riduttivo incorniciare in qualche spiegazione tattica. È solo un centravanti che prende palla e tira una bomba a quasi trenta metri dalla porta, mettendola sotto l’incrocio.

Tuttavia la premesse psicologiche e tattiche del gol c’erano tutte. Il Barcellona non è riuscito a scuotersi e salire d’intensità, fisica e mentale, mentre l’Eintracht – con una copertura del campo perfetta e vincendo tutti i duelli individuali, continuava a fare ripartenza, a tutte le altezze di campo. Se a sinistra conosciamo la potenza e la tecnica di Kostic, è stata una novità l’esplosività in dribbling di Ansgar Knauff, devastante tra andata e ritorno.

Il livello atletico del Barcellona ieri è sembrato troppo scadente, messo in risalto da una gestione del pallone molto meno brillante del solito. Si difende male perché si attacca male, come sempre. Sotto Araujo sbaglia un passaggio – prima concettualmente poi tatticamente, e l’Eintracht costruisce una delle transizioni più belle della partita, in cui spicca ancora l’intelligenza cristallina di Kamada negli smarcamenti.

Naturalmente per gli haters dello stile di gioco del Barcellona è stata una goduria, vedere i blaugrana distrutti da una squadra con un gioco fisico e che attacca attraverso transizioni dirette, con un gioco di passaggi scarnificato fino all’osso. Va ricordato, per onestà intellettuale, che nonostante l’Eintracht abbia meritato la qualificazione, è passato anche per una questione di dettagli e per l’imprecisione offensiva del Barcellona. Il conto degli xG, per esempio, è di 2,82 a 1,67 per la squadra di Xavi.

Tornano le inchieste del giovedì, il format che pesca a piene mani dai libri di Agatha Christie, Carlo Lucarelli, Edgar Allan Poe. Questa volta il mistero ha il colore scuro dell’ambra e la schiuma densa del mare del nord. È volato sotto forma di bicchiere di plastica pieno di birra dagli spalti del Philips Stadion al minuto 76, mancando per un pelo il capannello di giocatori del Leicester intenti a festeggiare il gol del pareggio. 

Partiamo dagli indizi: cercando “philips stadion beer” su Google si trovano di spettatori intenti a fotografare la propria mano mentre tiene una birra e come sfondo l’interno dello stadio (sono un tipo di foto estremamente “maschio bianco cis emotivo”). In queste prove i bicchieri sono sempre brandizzati “Bavaria”, che è una birra olandese (buono) prodotta a Lieshout, un paese ad appena 15 chilometri da Eindhoven (ottimo)!

C’è un però: in tutte le foto c’è la versione pilsner della Bavaria, quella sicuramente più conosciuta e venduta, che è una birra dal colore giallo paglierino, dalla consistenza leggera sia nella gradazione alcolica (5%) che nella densità (è quasi acqua). Quella lanciata ai giocatori del Leicester è una birra con un colorito più bruno, quasi tendente all’arancione. Potrebbe essere una birra artigianale? Potrebbe. Sul sito dello stadio scopriamo che all’interno esiste addirittura un caffè, l’Eetcafé De Verlenging che, oltre alla Bavaria, vende birre La Trappe (birre trappiste ma olandesi, non belghe) e l’IPA Brewdog Punk, che è forse l’IPA più venduta al mondo ( allego menù , se siete interessati). Quindi? Siamo arrivati alla soluzione? No. Ora dobbiamo fare quello che fa ogni buon detective: mettersi nei panni del colpevole. Lancereste una, decente, birra completamente piena? Per il gol del pareggio, che comunque portava ai supplementari? Difficile. Spulciando meglio si scopre che la Bavaria, oltre alla sua normale pilsner, produce altre birre che sono: due radler (addirittura due radler!!), che è praticamente birra e limonata, quindi con un colore molto giallo, quindi no; una Bavaria analcolica (praticamente uguale alla pilsner) e, rullo di tamburi, una IPA 0.0%, il match perfetto: birra dal colorito più scuro, ma non abbastanza buona (IPA analcolica, davvero?) dal trattenersi dal tirarla a Maddison.

I tifosi del Marsiglia chiamano Mandanda “Il Fenomeno”, su Twitter lo ringraziano per la prestazione di ieri sera contro il PAOK, l’ennesima di una carriera che è iniziata nel 2005 e che l’ha visto vestire la loro maglia più di 600 volte. A 36 anni, e con l’arrivo di Pau Lopez in estate, la carriera di Mandanda sembrava avviarsi alla fine, dopotutto nel calcio va così. In questa stagione ha iniziato titolare ma ben presto è diventato il portiere della Conference League, e in Conference League il Marsiglia è in semifinale. Ieri il Paok, che sembrava un avversario modesto, ha fatto valere il campo di casa, montando come un’onda contro un Marsiglia poco solido. 

Dopo pochi minuti Mandanda ha respinto col piede un diagonale insidioso, la prima di una serie di grandi interventi. Poi, con l’istinto, ha smanacciato un colpo di testa schiacciato da due passi. Con un fisico appesantito dal tempo che passa e il carisma del portiere vecchio stampo ha messo le mani su tutto, ha compiuto anche uscite tempestive e mostrato un bel gioco coi piedi. Se volete godervi il meglio con una musica mega enfatica di sottofondo, questo è il video che fa per voi.

Dopo il rocambolesco 3-3 pieno di errori e ribaltamenti dell’andata potevamo pensare che Slavia e Feyenoord avrebbero provato a giocare una partita calma e riflessiva, ma questa è la Conference League, una competizione che di riflessivo non ha nulla, neanche la sua creazione a pensarci bene. La partita di ritorno è stata, se possibile, ancora più assurda, iniziata con un assist da rimessa laterale e chiusa con un portiere in lacrime. In mezzo la più vivida imitazione di Pelé che abbiate mai visto.

La nebbia dei fumogeni non si era ancora diradata che lo Slavia Praga è andato sotto. Una velleitaria rimessa laterale (ma in fondo, non lo sono tutte?) ha trovato prima il buco di Ousou e poi quello di Bah, due lisci così ridicoli da sembrare scritti da un cattivo sceneggiatore, necessari a innescare la trama. La trama ha la precisione geometrica di Dessers, che col sinistro incrocia bene (non benissimo) e porta avanti gli olandesi. 

Passano 11 minuti e un’altra rimessa laterale del Feyenoord innesca un altro gol. Gli olandesi la battono all’indietro, per iniziare una di quelle fasi di palleggio stanche che compongono una partita. La palla arriva a Kökcü che l’appoggia verso il portiere, ma in maniera timida, sciatta. Il pallone rallenta sull’erba dell’area di rigore che pare velcro (occhio, tornerà) e a quel punto arriva il gesto dell’artista, l’intuizione che ogni tanto rende il calcio qualcosa che ci fa sobbalzare. Traorè aveva il vantaggio di poter fare molte cose e sceglie la più cool come direbbero gli americani. Il gol lo fa il corpo, la finta con cui manda a terra il portiere lasciando scorrere il pallone, una finta che ricorda quella di Pelè contro l’Uruguay nella semifinale dei mondiali del 1970, ma nella sua versione Conference League 2022. Il portiere, da terra, maledice la sua vita ancora prima del tiro di Traoré. 

Ma la maledizione dei portieri è ancora lontana dall’essere finita, anzi prende la forma del dramma personale al minuto 58. Ora bisogna tornare un attimo indietro: all’andata in porta aveva giocato Kolář, che aveva commesso un grave errore in occasione del terzo gol del Feyenoord, ieri allora tra i pali era tornato Mandous. È lui a regalare il pallone, con un passaggio sciagurato anche questo in qualche modo sporcato da un terreno similpaludoso, a Dessers, che poi l’aveva scartato per appoggiare nella porta vuota. 

Dopo l’errore Mandous non è riuscito a trattenere la sua disperazione: sì è preso la maglia tra i denti per morderla, cercare emozioni che non fossero la vergogna. Poi si è accovacciato a terra, come a volersi sotterrare, ma non ci si può sotterrare in uno stadio pieno, con la partita in corsa. Mandous è dovuto tornare tra i pali, ormai evidentemente in lacrime, o meglio in quello stato prima delle lacrime che è anche peggio, le telecamere impietose a riprenderlo. L’unico a consolarlo è stato l’arbitro. 

Il Lipsia non ha fatto una partita offensivamente abbacinate, ha vinto più grazie alla capacità di essere equilibrata, solida dietro, efficiente davanti. Il gol di Nkunku però è stato un piccolo gioiello, una dimostrazione pratica di come si può manipolare il pressing uomo su uomo di una squadra come l’Atalanta. Partendo da una rimessa laterale a metà campo, il Lipsia è tornato dal proprio portiere per ripartire in maniera ordinata.

Ai suoi fianchi si sono disposti a destra il centrale destro della difesa a tre Simakan e a sinistra il centrocampista Kampl, che dopo la ricezione ha attirato la pressione alta di Koopmainers. Kampl è ripassato da Gulacsi, che approfittando del buco creato dalla salita dei trequartisti e dei centrocampisti dell’Atalanta ha trovato un filtrante per Dani Olmo, sceso per offrire una linea di passaggio.

A quel punto Olmo ha potuto appoggiare per Laimer di prima, che a sua volta ha scaricato al lato su Henrichs sull’esterno. Una triangolazione rapida che ha scombussolato le marcature a uomo dell’Atalanta e che ha permesso a Laimer di scappare da Freuler con una corsa verso l’esterno, nel buco lasciato vuoto da Zappacosta. 

Il passaggio di ritorno lungolinea di Henrichs aveva i giri giusti e Laimer ha potuto correre indisturbato fino all’area di rigore avversaria. Al centro sia de Roon che Demiral hanno seguito la corsa di André Silva sul secondo palo, mentre dall’altro lato Nkunku era più rapido di Hateboer nel tagliare verso il centro. 

Laimer ha il tempo di alzare la testa e vedere il compagno per servirgli il più facile degli assist, ben sfruttato da Nkunku nonostante la disperata difesa della porta di Demiral. 

Ieri ha sbagliato un gol praticamente a porta vuota, poi nello slancio ha buttato il portiere in porta con tutto il pallone (portiere che forse si sarebbe buttato il pallone dentro da solo). Comunque è in semifinale di Europa League, più di quello che si può dire della maggior parte di noi. 

Ormai avete capito come funziona questa rubrica: usiamo queste due competizioni come scusa per parlare un po’ di quello che ci pare. Ieri al Camp Nou a un certo punto la tecnologia si è ribellata all’arbitraggio. Su un fallo di mano dubbio, l’arbitro non riusciva ad ascoltare il responso del VAR dal suo auricolare, né a vedere le immagini dal monitor. Allora qualcuno ha preso le sue cuffie Beats e gliele ha prestate. Ovviamente in cuffia aveva i suoi colleghi arbitri che facevano il suo lavoro al posto suo usando dei replay, ma a noi non importa la verità, ma solo mettere un po’ di consigli musicali x. 

Camané: NPR Music Tiny Desk Concert

Arbitro portoghese: Fado. Facile, praticamente uno stereotipo. Camané è considerato in patria «la voce più rappresentativa della nuova generazione del fado». Nel 2017 ha vinto anche il premio Tenco. Insomma, musica tradizionale ma in chiave più moderna, per quanto moderno può essere un genere che pesca a piene mani dal passato, dalle storie popolari e la malinconia. Qui Camané è ospite di NPR, una radio degli Stati Uniti che organizza questi brevi e spesso meravigliosi concerti di autori più o meno conosciuti che reinterpretano le loro canzoni (superconsigliato).

L’ultima puntata di Air Vismara

Grande appassionato di basket NBA, Artur Soares Dias non poteva fare a meno di ascoltare la puntata di presentazione dei playoff appena uscita (la trovate al link).

In The Wee Small Hours – Frank Sinatra

Avete mai l’idea che gli arbitri siano tutti ascoltatori di Frank Sinatra? E poi: chi ascolta Frank Sinatra? In qualche modo mi sembra che gli arbitri siano i perfetti ascoltatori di The Voice : benestanti abbastanza da avere un impianto stereo serio, adulti, fedeli alle regole, amanti di un’idea di mondo antica. 

Hayya Hayya (Better Together) – La canzone dei Mondiali in Qatar 

Sarebbe così strano venire a sapere che gli arbitri con ambizione di Mondiali, ascoltano la canzone dei Mondiali (che a quanto pare esiste ed è questa). 

Se siete arrivati fino a qui, mi dispiace per voi: non abbiamo più niente. Per puro rispetto dello scrolling fine a se stesso, ecco comunque qualcosa.

L’Europa League come se fosse un tiro

La Conference League come se fosse un momento buffo ma è difficile spiegare perché è buffo 

L’Europa League ma è una carrellata lunghissima

L’Europa League ma come se fosse una grande storia d’amore

Ci vediamo per le semifinali!

Emanuele Atturo è nato a Roma (1988). Laureato in Semiotica, è caporedattore de l'Ultimo Uomo. Ha scritto "Roger Federer è esistito davvero" (66thand2nd, 2021).

Marco D'Ottavi è nato a Roma, fondato Bookskywalker e lavorato qui e là.

Tutto il meglio di due competizioni primaverili.

Tutto lo scindibile di due competizioni inscindibili.

I momenti più gassosi di due competizioni piene di gas naturale.

I momenti più pacifici di una competizione pacifista.

Momenti icastici nella competizione più lasca.

Un 1-1 che conferma i miglioramenti della Roma e i peggioramenti del Napoli.

Una delle rivelazioni della Serie B.

Uno zero a zero drammatico.

Omaggio a un artista della finalizzazione.

13 momenti che hanno condotto l’Italia alla disfatta di ieri.

Le migliori dieci ascoltate negli stadi italiani.

Un’eliminazione triste, ma diversa da quella con la Svezia.

Con la Cremonese sta disputando una grande stagione.

Un’eliminazione amara e cocciuta.