Storia del bambino rumeno Piciul alla Stazione Centrale - Repubblica

2021-11-22 13:33:50 By : Ms. Theresa Fu

L'emergenza bambini a Napoli è un tema molto antico, forse “il” tema della nostra città che, come ha scritto Fabrizia Ramondino, è una città balia, una città che vede spesso i propri figli andare via dopo averli allattati. Piccoli lazzari sorridono sdentati e con sguardo da lupo nei quadri di Ribera, un famoso "prevetariello" ci guarda con occhi furiosi come uno scarafaggio da un celebre dipinto di Mancini conservato a San Martino (la tesa del cappello del prete lo schiaccia nel suo destino adulto come l'accenno di una barba appena sporca intorno alle guance).

Bambini morti di fame nei cassetti appaiono larvali dai racconti di Ortese, grida per l'incolumità dei bambini Matilde Serao, bambini girati in romanzi molto più vicini a noi, da De Silva a Saviano. I bambini pagano il prezzo più alto, da sempre, nella nostra città, sono merce di consumo. E se poco è sempre stato fatto per i bambini napoletani (i numeri degli abbandoni scolastici sono tragici ma sepolti nelle scuole cittadine), figuriamoci per i bambini che non sono napoletani di origine e che diventano lo scarto dei rifiuti nel mulino napoletano. Sta uscendo in questi giorni un romanzo, che ho visto crescere, firmato da Marco Peluso, autore napoletano non propriamente esordiente ma che in qualche modo rinasce alla vita letteraria con questo nuovo titolo, "Piciul", edito da Linea Edizioni.

Peluso, scrittore e sceneggiatore, racconta per la prima volta dei bambini rumeni a Napoli. E lo fa con la competenza di chi ha vissuto e vive borderline, sul filo del rasoio dell'indigenza e dell'emarginazione. Peluso sa quello che dice perché conosce la Stazione Centrale di Napoli e le strade in cui si muovono Horia, detto il Piciul, e i suoi compagni, i vicoli dietro la stazione e il Rettifilo non come i napoletani che li attraversano andando verso, passando attraverso, ma come chi ci vive condividendo le stesse difficoltà di sopravvivenza delle comunità straniere in città. Una competenza che si avverte nei toni, negli sguardi, nella lingua rumena mista al napoletano che attraversa questo romanzo allo stesso tempo antico (si pensi a Pratolini o Bernari, ad esempio, ma anche a Victor Hugo, che è la lettura del manifesto dell' autore) e allo stesso tempo spaventosamente affacciata al presente. Forse perché la povertà è proprio questo: un presente antico che cerchiamo di non vedere. La cosa veramente interessante di "Piciul" è aver scelto, tra i tanti migranti che abitano la città come fantasmi, africani, cinesi, ucraini, filippini, peruviani, pakistani, rumeni, quali sono i più segreti.

Penso sempre con stupore che Napoli abbia nel cuore una bella chiesa, da sempre chiusa, Donnaromita: il nome deriva dall'accoglienza delle donne rumene fuggite durante l'iconoclastia dall'Impero d'Oriente al Ducato napoletano. Nella nostra lingua, quindi, si mescolano l'eremo, che l'aggettivo eremita esplicita, e la provenienza delle donne, salvate nel monachesimo, che provenivano dalle regioni romene. Romito, rumeno, lontano: eppure vicino. Horia e le sue compagne sono poco più che bambini e già rubano o lavorano nelle fabbriche, si innamorano e devono morire: sono i testimoni più silenziosi del mondo globale, gli schiavi silenziosi, quelli per cui nessuno si commuove, nemmeno su un social network durante il giorno. di memoria. La sala giochi puzzolente, la fabbrica, la scuola, gli interni domestici dei migranti che il romanzo ritrae sono luoghi davanti ai quali passiamo ogni giorno, a passo svelto, diretti altrove, con lo sguardo distolto.

Abbiamo letto o visto al cinema e in tv mille volte storie di bande di bambini, bambini che si drogano, bambini che si uccidono e si suicidano, eppure non l'abbiamo mai fatto davvero. In questi giorni va in scena a San Ferdinando un grande spettacolo, "Tavola Tavola, chiodo chiodo" di e con uno straordinario, eccezionale, Lino Musella che mette in scena brani della vita e del pensiero di Eduardo: uno spazio è dedicato ai ricoverati dell'Istituto Filangieri che Eduardo come senatore ha sostenuto e aiutato. Le voci che Musella scuote dietro "fratemo canciello" hanno un suono e un linguaggio che riconosciamo: i bambini rumeni a Napoli nemmeno quello. Di questo romanzo parleremo poi il 9 dicembre alla Biblioteca Ubik ma, intanto, c'è da dire che la fatica per creare queste pagine è stata grande, una montagna che Marco Peluso ha scalato da solo, per superare limiti, blocchi, posture. di chi comincia a scrivere. Raramente ho visto tanta passione nella mia professione: quando la verità è troppa, rischia di non essere creduta e, ovviamente, incappa in mille errori tecnici. Ma quando, dopo aver letto, fai il giro della stazione e lungo il Rettifilo, girati: Horia e la sua gente ti vedono anche se non li guardi.